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lunedì 13 maggio 2024 | ore 19:05

'L'eredità di Eszter'

Un libro meraviglioso, un’ineguagliabile trappola per il lettore, che lo tratterrà in una morsa di ardore e veemenza fino allo scoccare dell’ultima parola. Di Sandor Marai.
Libri - 'L'eredità di Eszter' (Foto internet)

L’eredità di Eszter è un romanzo del celebre scrittore ungherese Sándor Márai scritto nel 1939 ma giunto alle stampe in Italia solo nel 1999. Si tratta di un libro che lungi dall’essere minimamente paragonabile alle infinite distese di carta e inchiostro di altre opere dell’epoca in cui tale romanzo venne prodotto, si pensi per esempio ai complicatissimi e ridondanti scritti di Thomas Eliot. Al contrario, “l’eredità di Eszter” è un libro coinciso in un centinaio di pagine ma di un fervore, di una nitidezza e di un’immediatezza esorbitanti. Pochi scrittori moderni riescono a trasmettere al lettore quella serie di coincidenze, di quotidianità, di accadimenti che ognuno definisce sovente come “destino”. Lo scrittore, con un’intensità veramente sensazionale, spiega al lettore il nesso sussistente tra destino e individui. Un destino che, come fa intendere Márai, non dipende da forze soprannaturali, da coincidenze, dal sistema “società” ma, il reale legame che ciascuno ha con quello che definisce “destino” sta in quella forza vitale interiore, in quella mistica effusione che ci si comunica a vicenda. La forza generata da questo fuoco fervente interno a ciascun soggetto non è certo meno intensa di quella che travolgeva gli eroi di Eschilo arrivando più vicini ad una concezione di eroe simile a quella sofoclea. In seguito a questa necessaria premessa, è opportuno, al fine di addentrarsi ulteriormente nel “vivo” del libro, trattando brevemente la trama. Eszter ha vissuto un’esistenza piana e senza sussulti, nella quasi inconsapevole ma voluta attesa del ritorno di Lajos, il solo uomo che abbia mai amato e “l’unico vero significato della sua vita”, grazie al quale ha provato quel “senso di allarme continuo”, quella infinita serie di emozioni che tengono fervida un’anima fievole come quella di Eszter. Ecco però che quel momento disatteso riemerge a realtà dai più profondi antri della mente di Eszter; Lajos, l’assoluto mentitore, falsificatore, imbonitore torna. Con lui sopraggiunge impetuoso anche il suo immenso fascino, capace di carpire chiunque ne abbia a che fare. Arriva quell’uomo che aveva detto di amare soltanto Eszter per poi sposare sua sorella, ingannandola così sin dal primo giorno. Torna, mentendo “come urla il vento, con una specie di forza primordiale, con un’allegria indomabile”, ma Eszter lo sa e, intende anche che è ritornato per riprendersi una tra le cose di valore che non si era portato con lui, tuttavia, non ha intenzione di fare nulla per impedirglielo. Eszter ormai non lo teme più, sa che adesso provava per lui solamente “un profondo e quasi umiliante senso di pietà” ma è anche a conoscenza del fatto che, purtroppo o per fortuna, “nella vita esiste una specie di regola invisibile per cui ciò che si è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine”. Márai è un autentico maestro della tensione narrativa spinta sino all’inimmaginabile, come emerge anche dall’altra sua meravigliosa opera “Le braci” e, al contempo, è anche uno tra i rarissimi autore della letteratura mitteleuropea di meta novecento in grado di creare una morsa fatale tra tensione e intensità tale da stringere la mente del lettore fino al rintocco dell’ultima lettera.

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