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Il don che 'Tifa Positivo'

Vincitori o vinti... siamo tutti uguali. Il progetto 'Io Tifo Positivo': l'esperienza di don Gino Rigoldi, fondatore di 'Comunità Nuova' e cappellano del carcere 'Beccaria'.
Sociale - Il progetto 'Io Tifo Positivo'

Vincitori o vinti… siamo tutti uguali. “Perché in campo si va insieme e insieme si vince e si perde”. La parola chiave, alla fine, è tifo; quattro semplici lettere, ma che dietro di loro racchiudono un significato ben più profondo, dove il sostenere la propria squadra diventa anche e in modo particolare l’occasione di stare accanto agli altri, agli avversari, a coloro con i quali ci stiamo per confrontare. L’hanno chiamato, allora, ‘Io Tifo Positivo’, molto più di un progetto, bensì un’idea chiara e precisa di aggregazione, coinvolgimento e unione. E da questi tre concetti, appunto, don Gino Rigoldi ha voluto partire per dare vita ad un messaggio che unisce giovani e adulti. “Il bisogno a cui cerchiamo di rispondere è quello del tifo che deve essere visto come un’allegria e una festa – Sociale - Don Gino Rigoldi spiega lo stesso don Rigoldi, fondatore di ‘Comunità Nuova onlus’ e cappellano del carcere minorile ‘Beccaria’ di Milano – Noi vorremmo che fosse, dunque, tifare positivo, senza rabbia, senza nemici, senza la violenza. Dobbiamo, pertanto, abituarci a competere e a raffinare le nostre competenze, ma l’importante è essere contenti se vinciamo e al contrario accettare l’eventuale sconfitta, avendo ben chiaro che gli altri giocano come noi e con noi. E’ una questione di capacità che si incontrano e che qualche volte producono effetti positivi ed altre no, però nonostante questo deve continuare l’amicizia”. L’educazione al rispetto reciproco ed alla tolleranza (così nello sport come nella vita quotidiana), insomma, sono i principi fondamentali. “La nostra associazione nasce con i giovani del ‘Beccaria’ – continua don Gino – Però il nostro lavoro non si limita unicamente al carcere, bensì cerca di raggiungere le scuole e i quartieri della periferia di Milano e, allora, guardando i comportamenti dei ragazzi e delle ragazze (che noi intercettiamo per la musica, la formazione professionale, l’alfabetizzazione, ecc…), ci è parso bello ragionare in parallelo su qualcosa che potesse valorizzare lo sport, facendo crescere questi giovani dal punto di vista dell’accettare l’altro non come nemico, bensì come competitore, dandosi una capacità sportiva, perché lo sport ha dentro delle potenzialità educative straordinarie. Bisogna lavorare per arrivare ad un obiettivo, bisogna darsi stima e mettersi in movimento e questo per i ragazzi di oggi, così confusi relativamente alla propria di vita ed alla propria di capacità, è fondamentale; senza dimenticare il fatto che si sta in gruppo, ci si abitua a stare con le persone per un’impresa comune. Ancora, si vince o si perde e si metabolizzano insieme le due differenti situazioni. Lo sport, alla fine, deve essere una festa e un momento di crescita”. Stare gli uni con gli altri, lavorare fianco a fianco, formarsi e crescere assieme, provando a dare il buon esempio... “Per insegnare agli adulti che si può essere grandi tifosi, senza insultare o percepire gli altri come nemici”.

EDUCARE AL RISPETTO RECIPROCO E ALLA TOLLERANZA

Tifare per lo sport, prima ancora che per la squadra del cuore. L’idea alla base del progetto sta proprio in questo, organizzando una serie di azioni educative rivolte ai giovani delle scuole e più in generale ai ragazzi che quotidianamente praticano attività sportiva o che sostengono questa o quella realtà. L’insieme, poi, è il punto cardine di una proposta che partendo dal presente guarda con particolare attenzione al futuro. Perchè è fondamentale far capire quel principio di fondo del rispetto reciproco e della tolleranza, andando a diffondere lo sport come momento per creare relazioni umane e ridimensionando il fenomeno ‘tifo’ ai soli luoghi e tempi dello sport stesso. Seguire la propria squadra del cuore lo si può fare benissimo senza oltrepassare certi limiti, bensì ricordandosi che in campo ci sei tu e c’è anche l’altro e vivendo quell’occasione come evento sociale, di divertimento e di unione. E anche la scelta del verbo tifare alla prima persona singolare (‘Io Tifo Positivo’) vuole sottolineare come le scelte della vita, e di conseguenza quelle del tifo, sono personali e non possono essere demandate a chicchessia o a gruppi di qualsiasi genere.

GUARDA L'INTERVISTA A DON GINO RIGOLDI

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