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giovedì 16 maggio 2024 | ore 05:27

Referendum 17 aprile

 Generica - Una trivella petrolifera in mare

Un argomento che rimane enigmatico (temiamo ‘volutamente’) per la maggior parte dell’opinione pubblica. Eppure i cittadini italiani sono chiamati a rispondere ad un quesito referendario. Ma partiamo dal quesito: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”. L’oggetto del referendum del 17 aprile sono solo le trivellazioni che sono effettuate entro le 12 miglia marine (che corrispondono a circa venti chilometri). Non sono quindi la maggior parte delle trivellazioni in acque italiane, complessivamente 66 e collocate soprattutto oltre le 12 miglia, e dunque fuori dal referendum. Parliamo solo di quelle localizzate entro le 12 miglia. In tutto sono 21: 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche, 1 in Veneto. Queste vengono effettuate da compagnie estrattive diverse, sulla base di una concessione che dura inizialmente 30 anni, poi prorogabile per due volte, cinque anni ciascuna. In totale: 40 anni. Più altri cinque possibili. Cosa succede dopo i 40/45 anni? Secondo la normativa vigente oggi, scaduta la concessione finisce la trivellazione. Il provvedimento del governo Renzi, cioè la norma inserita nella legge di stabilità, dice che anche quando il periodo concesso finisce, l’attività può continuare fino a che il giacimento non si esaurisce. I referendari chiedono che questa novità sia cancellata e si torni alla scadenza ‘naturale’ delle concessioni.

Il parere dei comitati che invitano a votare ‘SI’
Se al referendum del 17 aprile vincesse il SI, entro 5-10 anni le concessioni verrebbero a scadere e quindi l’attività estrattiva dovrebbe cessare. Oggi le concessioni hanno una durata di trent’anni, prorogabili di dieci. Con il Sì non si elimina la possibilità di proroga: ci sarebbe la cessazione nel giro di alcuni anni delle attività attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali. Il Sì al referendum è sostenuto da una rete di comitati, il No Triv, riunito in un coordinamento nazionale (www.notriv.com). I comitati locali sono principlamente nelle regioni interessate dalle trivellazioni.

Il ‘NO’ e il mancato quorum non cambierebbe le cose
I contrari al referendum del 17 aprile non si trovano solo nel governo o tra i petrolieri. Dubbi sono stati espressi anche nella Cgil, che teme la perdita dei posti di lavoro: il progressivo abbandono delle concessioni causerebbe una riduzione di posti di lavoro. Il settore estrattivo occupa circa 40mila persone. C’è un’altra obiezione, più generale, che i sostenitori del No (o del mancato quorum) avanzano. Le trivellazioni nel mare italiano, in particolare quelle entro le 12 miglia oggetto del referendum, estraggono principalmente gas metano coprendo circa il 10% del fabbisogno. In misura minore si estrae petrolio. In prospettiva anche i sostenitori del NO auspicano la crescita dell’utilizzo delle delle energie verdi ma nel frattempo non si può rinunciare a quello che abbiamo. Andrebbe sostituito da nuove importazioni. Essendo referendum abrogativo, un’eventuale bocciatura lascerebbe la situazione inalterata.

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